Singapore propone di lanciare i Data Center AI nell’Orbita Terrestre

L’escalation della domanda di calcolo, spinta in gran parte dall’Intelligenza Artificiale, sta portando a un consumo energetico insostenibile per i data center terrestri. Di fronte a questa emergenza ambientale, i ricercatori della Nanyang Technological University (NTU) di Singapore propongono una soluzione che ha il sapore della fantascienza: spostare i centri di elaborazione dati nell’Orbita Terrestre Bassa (LEO).

La necessità di un cambiamento è urgente. Nella stessa Singapore, i data center assorbono già circa il 7% dell’elettricità nazionale, una percentuale destinata a salire al 12% entro il 2030. Questo consumo energetico è in gran parte dovuto ai massicci sistemi di raffreddamento necessari per mantenere operative le migliaia di server.

Secondo il Professor Wen Yonggang, co-autore dello studio pubblicato su Nature Electronics, il pensiero non convenzionale è l’unica via d’uscita: “Dobbiamo sognare con coraggio e pensare in modo non convenzionale se vogliamo costruire un futuro migliore per l’umanità. Lo spazio offre un ambiente realmente sostenibile per l’informatica.” L’obiettivo è chiaro: sviluppare l’informatica al tempo dell’AI con zero emissioni di carbonio operative.

L’orbita terrestre bassa (LEO) presenta due vantaggi ambientali fondamentali che sulla Terra sono irraggiungibili senza un costo energetico elevatissimo:

  1. Energia Solare Illimitata: I satelliti in orbita possono beneficiare di una fornitura energetica pressoché illimitata, affidandosi esclusivamente ai pannelli solari. Qui, non essendoci l’interferenza dell’atmosfera o del ciclo notte-giorno, l’energia è costante e massimizzata.
  2. Raffreddamento a Costo Zero: La LEO offre un sistema di raffreddamento naturale di incredibile efficacia. I server spaziali potrebbero disperdere il loro calore direttamente nel vuoto cosmico, la cui temperatura media si aggira intorno ai 2,7 Kelvin (ovvero -270,45° C). Questo meccanismo di “refrigeratore radiativo naturale” eliminerebbe il bisogno di sistemi terrestri inquinanti e costosi.

L’idea non si ferma alla teoria. Il team NTU ha già delineato due modelli operativi concreti, scalabili grazie all’attuale progresso tecnologico:

  • Elaborazione On-Board: Consiste nell’equipaggiare i satelliti esistenti con processori AI. Questi potrebbero elaborare i dati grezzi direttamente a bordo, inviando a Terra solo le informazioni essenziali. Questo approccio ridurrebbe il volume di trasmissione dei dati di oltre 100 volte, con un significativo risparmio energetico e di latenza.
  • Costellazioni Dedicate (Cloud Spaziale): L’idea più ambiziosa prevede la creazione di intere “costellazioni” di satelliti dedicati, dotati di server, pannelli solari e raffreddatori radiativi. Questi cluster di data center potrebbero eseguire compiti complessi a livello globale, come l’addestramento di modelli AI, creando di fatto un cloud computing senza vincoli geografici.

Sebbene le emissioni operative nello spazio siano prossime allo zero, il progetto non ignora il problema maggiore: il lancio delle infrastrutture. I vettori necessari per portare i server in orbita generano infatti emissioni elevate.

Per affrontare questa sfida, i ricercatori propongono un’analisi basata sul paradigma CUE (Carbon Usage Effectiveness), che valuta l’impronta di carbonio nell’intero ciclo di vita del data center, includendo produzione, lancio e smaltimento.

Le simulazioni, supportate da un “gemello digitale” sviluppato in collaborazione con lo spin-off NTU Red Dot Analytics, hanno tuttavia offerto una prospettiva ottimistica: i data center orbitali alimentati a energia solare potrebbero compensare interamente le elevate emissioni del lancio iniziale entro pochi anni di attività a zero emissioni. In sintesi, il costo ambientale iniziale sarebbe rapidamente ammortizzato dalla sostenibilità operativa a lungo termine.